Ancora un bel racconto dallo stagno di Francesco Smelzo...
Grande fermento quel giorno nello stagno!
Era arrivato dal Nord un grosso gabbiano che si faceva chiamare Sebastiano.
Tutti gli abitanti dello stagno si erano radunati, incuriositi da questo nuovo venuto. Persino le talpe, con i loro occhietti quasi ciechi, avevano messo fuori il capino dalle loro tane, attirate da tanto baccano.
E Sebastiano il gabbiano non si sottraeva certo a queste attenzioni. Anzi! Si era messo in bella vista sopra un ramo della vecchia quercia, aprendo e chiudendo le sue ampie ali e mostrando il becco giallo appuntito.
Ad un certo punto, quando l’attenzione degli altri animali era massima, prese ad iniziare il suo discorso:
«Amici miei, fratelli cari.
Ne ho visto di mondo io!
Ho sorvolato i freddi mari del Nord a caccia dei bianchi merluzzi.
Ho seguito le navi da pesca sugli oceani in tempesta.
Ho dimorato sulle fredde scogliere, dove ho saputo cose che voi, abitanti di questa piccola pozza d’acqua, non sapete e non potreste neanche capire.»
«Dicci, dicci ti prego!» – fece allora la papera Nerina, la più intraprendente del gruppo degli animali.
«Sì Sebastiano, fai conoscere anche a noi le cose che sai» – aggiunse l’oca Albina che si era accorta come Nerina guardava il gabbiano e non voleva esserle da meno.
«Ebbene, sulle scogliere di Scozia, conobbi una vecchia foca.»
Continuò allora il gabbiano Sebastiano
«Aveva sulle spalle molte lune e giaceva su un sasso ai bordi del mare spumoso, passando, ai deboli raggi del sole del Nord, gli ultimi giorni della sua vita. Troppo stanca ormai per cacciare.»
«Mi rivelò che tutto il mondo che i nostri occhi possono vedere fu creato mille e mille lune fa dalla Grande Foca. E che lei, la Grande Foca, ha stabilito la Legge per gli animali. E solo gli animali che seguono la Legge, quando muoiono, volano in cielo con il loro spirito per vivere per sempre felici.»
«Mentre gli altri, quelli che non seguono la Legge, vedranno il loro spirito disperso nelle fredde acque dell’Oceano.»
Gli animali che stavano a sentire il gabbiano domandarono: «cosa dice questa Legge? Cos’è che dobbiamo fare affinché il nostro spirito non si disperda nell’Oceano?»
Sebastiano, dopo una lunga pausa, guardando uno per uno gli animali radunati intorno a lui rispose: «non tutti possono conoscere la Legge, solo alcuni animali, come me, possono avvicinarsi allo spirito della Grande Foca per conoscere la Legge e dire agli altri solo quello che possono capire.»
«Io infatti sono stato investito di questo potere dalla vecchia foca morente, e ascolto ogni notte in cui la Luna è rotonda nel cielo, direttamente dallo spirito della Grande Foca, le parole della Legge, e so quelle che devono essere dette agli altri animali per salvare il loro spirito.»
«Ebbene allora parla, dì anche a noi quello che dobbiamo fare secondo la Legge» – dissero gli altri animali.
Sebastiano il gabbiano, ancora guardandoli uno per uno e dopo un’altra lunga pausa disse: «È ancora presto perché possiate conoscere tutta la Legge ma, per iniziare, vi posso dire che la Grande Foca desidera che i suoi prediletti tra gli animali, quelli che possono parlare con lui, come me, debbano essere rispettati e serviti. Loro non possono perdersi in occupazioni inutili come cacciare o costruirsi nidi perché devono preoccuparsi soltanto di parlare con lo spirito della Grande Foca e meditare sulle cose importanti per il bene degli altri animali.»
Da quel giorno la vita era cambiata nello stagno.
Tutti gli animali si preoccupavano di fare qualcosa per far piacere a Sebastiano.
Chi gli portava pesci per nutrirlo, chi raccoglieva fango e rami secchi per costruirgli un comodo nido.
La papera Nerina e l’oca Albina facevano addirittura a gara a strapparsi le morbide piume della coda per rendere caldo e confortevole il nido del gabbiano.
Tutti … tranne Uga la tartaruga. Lei continuava a brucare la fresca erba ai bordi dello stagno, non curandosi dell’agitazione degli altri animali.
Sebastiano, indispettito da questo comportamento, un bel giorno le domandò: «Tartaruga, pensi di essere un animale speciale? Perché non collabori con gli altri animali nel seguire la Legge? Vuoi forse che, una volta morta, il tuo spirito si disperda nel freddo Oceano?»
Uga la tartaruga continuò per un bel pezzo a masticare la foglia che aveva in bocca, poi allungò il capo fuori dal guscio, guardò il gabbiano domandando:
«Vicino a questo stagno vedi qualche Oceano?»
«Oh bella! Certo che no!» – rispose Sebastiano il gabbiano, scoppiando in una risata – «per raggiungere l’Oceano occorre volare per molti giorni con ali potenti, come le mie.»
«Vedi forse su di me delle ali potenti?» – domandò ancora la tartaruga.
«Ali? Una tartaruga con le ali! Certo che no!» – rispose ridendo ancor più sonoramente il gabbiano.
«E allora? Perché dovrei preoccuparmi che il mio spirito si disperda nell’Oceano?» – rispose Uga la tartaruga, ritirando il capo dentro il suo guscio.
Gli animali che assistevano alla scena, all’improvviso, guardandosi l’un l’altro, capirono di essere stati giocati dal gabbiano e, di lì a pochi giorni, nessuno più portò pesci per nutrire Sebastiano, né raccolse rami secchi e fango per il suo nido.
Solo per qualche tempo ancora la papera Nerina e l’oca Albina continuarono a strapparsi le piume della coda, ma poi anch’esse smisero, visto che nessuno più costruiva il nido per il gabbiano.
Quel giorno allora Sebastiano, spiccò il volo da un ramo della vecchia quercia, senza neppure degnarsi di ringraziare, diretto a Sud, per cercare un altro stagno.
E’ questo uno dei dieci racconti scritti da Francesco Smelzo, che compongono la raccolta “Storie dello stagno”. Qui potete leggere gli altri:
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