Tra i Miti greci è quello più amato dai bambini...
Ad Atene, tanti anni fa, viveva Dedalo, un artista capace di scolpire statue così belle e modellate con tanta perfezione da sembrare animate di vita, cesellava i troni degli dei e i treppiedi preziosi per i templi divini, costruiva palazzi fantastici e sapeva in ogni circostanza ideare nuove geniali opere d’arte.
Un giorno Dedalo fu convocato da Minosse, re di Creta, poiché a quel tempo il paese era devastato da un mostro mezzo uomo e mezzo toro. Minosse incaricò Dedalo di costruire un palazzo sotterraneo in cui rinchiudere lo spaventoso animale. Così l’architetto abilissimo costruì il famoso Labirinto. Ma purtroppo il mostro venne sconfitto da Teseo e, Minosse quando venne a saperlo, montò su tutte le furie e incolpò Dedalo dell’accaduto. Per punirlo il re, rinchiuse l’architetto e suo figlio Icaro nello stesso Labirinto. Dedalo, che non poteva sopportare a lungo l’odiosa prigionia, volle tentare a qualunque costo, l’evasione. L’unica via libera era quella dell’aria.
Perciò Dedalo costruì per sé e per suo figlio due paia d’ali tessute di piume leggere; le attaccò con cera alle spalle e alle braccia di Icaro e se le fissò anch’egli al dorso, poi attese che i servi dormissero e rivoltosi al figliolo gli disse:”Seguimi Icaro” raccomandò al figlio. “E non temere nulla: abbi soltanto cura di restare presso di me come un uccellino appena uscito dal nido. Non ti lasciar tentare dall’altezza: il fuoco del Sole brucerebbe le tue ali, e non scendere troppo in basso, ché l’umidità le appesantirebbe. “Ti obbedirò padre” rispose Icaro. Fiducioso Dedalo si lanciò nello spazio, mentre Icaro lo seguiva.
Sotto si stendevano azzurre e calme le acque dell’Egeo e vi si specchiava sfolgorante, il Sole. Passavano i due uomini alati, Dedalo e Icaro, sul mare, e gli uccelli fuggivano spaventati. Costeggiavano le isole e i pastori alzavano gli occhi stupiti credendo a visioni fantastiche, mentre i contadini gridavano: “Sono Numi scesi dall’Olimpo, volano con ali di piume verso il Sole!”. Icaro udiva quei gridi di stupore e si sentiva inorgoglire sempre di più. Gli pareva quasi di essere una divinità, così alto nello spazio, così libero e veloce fra le nuvole. Doveva essere anche più bello avvicinarsi al cielo, attraversare le eccelse vie dove le stelle serene e i mondi si inseguono eternamente. Tentare un volo audace vicino al Sole, per guardare da presso l’immenso Astro luminoso!
Icaro quasi senza accorgersene, trascinato dal suo stesso desiderio, si allontanò a poco a poco dalla scia tracciatagli dal padre che lo precedeva. E si portò in rapida ascesa, verso la regione alta del firmamento; ma il calore ardente del Sole rammollì presto la cera profumata che faceva aderire alle sue spalle le ali, sciolse le piume dell’armatura che le teneva insieme e le fece precipitare nelle onde sottostanti. Icaro cercò invano di rimanere sospeso nell’aria battendo affannosamente le braccia. Cadde nel mare e la schiuma lo ricoprì. Da allora quel mare si chiamò Mare Icario.
Dedalo, accortosi tardi dell’imprudenza di Icaro, non poté far nulla per evitare la tragica morte del figliolo nell’Oceano e dovette proseguire il volo, finché arrivò a Cuma. Qui costruì un tempio magnifico dedicato ad Apollo e vi consacrò le sue ali prodigiose. Ma l’angoscia per la morte tragica di Icaro era così immensa, che Dedalo non trovò altra consolazione che mettersi a scolpire sulle porte del tempio tutta la storia di Minosse e della sua discendenza. Il cesello magnifico creò una fantastica, mirabile opera d’arte. Ma quando il povero padre giunse a scolpire l’episodio della sua fuga dal Labirinto e la morte di Icaro, le mani gli tremarono di commozione, il bulino gli cadde a terra, e l’opera rimase incompiuta a quel punto.